Il Nix di Nathan Hill è davvero l’erede di Pynchon e Wallace?

Dietro a Il Nix (Rizzoli, 768 pp., €22, trad. A. Cristofori) c’è una di quelle storie che, già di per sé, costituiscono metà di un caso editoriale.
Nel 2004 il giovane Nathan Hill ha appena finito la scuola di specializzazione, lavora per l’Academy of American Poets e vive nel Queens.
Una notte, mentre è nel mezzo di un trasloco, lascia più o meno tutto quello che possiede in macchina.
La mattina dopo la macchina è svuotata.
Niente più vestiti, niente più libri, niente più racconti scritti nei tre anni di graduate school e soprattutto niente più manoscritto a cui sta lavorando da tempo. I
l back up l’ha fatto, su CD, ma anche i CD sono spariti dalla macchina. La prima storia a cui ha iniziato a lavorare, una volta ripresosi dallo shock, è stata Il Nix.
“Non hai mai neanche deciso che la tua vita fosse così, è semplicemente così che è diventata. Sei stato segnato dalle cose che ti sono successe. Come se il canyon potesse dire al fiume in che modo dargli forma. No: semplicemente, gli permette di inciderlo”
Quello che doveva essere un racconto breve si è trasformato in oltre 600 densissime pagine.
DI COSA PARLA IL NIX, L’ESORDIO DI NATHAN HILL
Samuel Andresen-Anderson è un trentenne professore di letteratura inglese molto più ispirato dal videogame World of Escape, per cui ha sviluppato una notevole dipendenza, di quanto non lo sia dal suo lavoro.
Un giorno viene contattato da un avvocato e scopre che il governatore Sheldon Packer – un repubblicano conservatore, demagogo e ahimè candidato alla presidenza – è stato aggredito da una gragnuola di sassi lanciata da una signora di mezza età.
L’aggreditrice, immediatamente ribattezzata Packer Attacker dai media, è sua madre Faye, che non vede né sente da 20 anni, precisamente da quando ha abbandonato lui e suo padre.
Da qui si dipana un intreccio polifonico che si sposta dalla giovinezza di Faye nell’Iowa alle proteste sessantontine di Chicago, dagli Stati Uniti post 11 settembre alla crisi economica del 2011, muovendosi dal registro della tragedia a quello della commedia con una velocità disarmante.
Ad aleggiare sullo sfondo lo spirito del Nix, protagonista di una leggenda norvegese, che forse ha maledetto la stirpe di Faye o forse, più semplicemente, è in attesa di qualcuno che capisca la morale della sua storia: “Le cose che ami di più, sono quelle che prima o poi ti feriscono di più”.
Grandi nomi sono stati scomodati per paragonare il debutto letterario di Hill, da Thomas Pynchon a David Foster Wallace a Don DeLillo.
La potenza narrativa del Nix, pane per i denti dei lettori voraci con la sua voce narrante metamorfica e i suoi protagonisti impeccabilmente tratteggiati, è indubbia, ma non sono pochi i difetti, veniali ma pur sempre evidenti: lacune nella coerenza narrativa – prima fra tutte, capitoli che sembrano completamente separati dal romanzo e ad esso totalmente non funzionali – un finale che pecca di eccessiva retorica e un senso dell’umorismo che sfocia nel macchiettistico e nel surreale anche quando non dovrebbe.
Quello che rimane del libro, nonostante sia stato scritto in oltre dieci anni e pubblicato solo l’anno scorso, è soprattutto la tagliente e quasi spaventosa contemporaneità.
Dalla figura del governatore Packer – il cui “approccio populista anti-élite che ha trovato terreno fertile soprattutto fra gli operai conservatori bianchi”, come sappiamo, può portare alla Casa Bianca – agli studenti di Samuel, i quali preferiscono condividere le proprie emozioni sulla app iFeel che leggere Amleto, l’ironica penna di Hill tratteggia un’analisi sociale tanto spietata quanto attuale.
E come da miglior neo-tradizione contemporanea, la Warner Bros sta acquistando i diritti de Il Nix per farne una miniserie serie evento.
Protagonista, ovviamente, Meryl Streep.
Alla regia, J. J. Abrams.