Santa Clarita Diet. Quando gli zombie fanno ridere
Chissà se un giorno ci abitueremo allo stupore che ogni nuovo rilascio di Netflix porta con sé, o se questo continuo alzare il tiro si rivelerà essere presto un boomerang.
Per ora, dopo Stranger Things, The Crown e The OA, ci godiamo l’ennesimo centro con la comedy surreale Santa Clarita Diet che riporta sullo schermo una splendida Drew Barrymore.
SANTA CLARITA DIET – LA RICETTA DEL SUCCESSO
Senza destare troppo scandalo: sette anni di The Walking Dead ci hanno rotto le palle.
E allora?
Allora scopriamo che il pretesto zombie per raccontare ciò che di marcio cova l’umanità può essere usato anche in un altro modo, e a farcelo scoprire è Victor Fresco, l’ideatore di My Name is Earl che torna finalmente su piccolo schermo con Santa Clarita Diet.
E la ricetta del successo è presto servita: quanto ci spingeremmo in là per la persona che amiamo?
Dove ci può portare quel “nella buone e nella cattiva sorte”?
Se lo chiede Joel Hammond (Timothy Olyphant) mentre aiuta sua moglie Sheila (una Drew Barrymore in forma smagliante) a disfarsi di ciò che rimane del tizio che si è appena mangiata.
Già, perché Sheila, dall’oggi al domani, da immobiliarista di successo si è ritrovata a essere uno zombie con tanta, tantissima voglia di carne fresca.
Ha mantenuto tutte le facoltà cerebrali intatte eh, non ci sono lamenti, strascichi di piedi e braccia protese in avanti, è solo che Sheila dopo aver vomitato una quantità davvero notevole di vomito (e una misteriosa pallina rossa), ha bisogno di seguire una nuova dieta.
«E meno male che questa “cosa” non rovina la pelle», si ritrova a pensare mentre si trucca prima di andare in cerca della propria cena.
Non avessero azzeccato la coppia Olyphant/Barrymore, Santa Clarita Diet probabilmente sarebbe stata una “cagata pazzesca”.
E invece l’affiatata coppia di immobiliaristi della California funziona, tanto da essere il vero motore della serie che riesce ad attuare quel processo per cui una coppia che guarda lo show possa dire “ehi, ma questo lo fai anche tu”.
No, non mangiare carne umana (oddio, poi non so) ma se c’è qualcosa di veramente fenomenale in Santa Clarita Diet è riuscire, con un pretesto il più implausibile possibile, a spostare la lente d’ingrandimento su quel che si nasconde dietro la porta di una normale vicinato di casette a schiera di un quartiere borghese di periferia.
SANTA CLARITA DIET – L’APPETITO DELL’ES
Fino al giorno prima del risveglio dell’appetito di Sheila, gli Hammon erano una famiglia come tante: ventitré anni di matrimonio, una figlia adolescente, un buon lavoro e un mutuo da pagare.
Ma dopo la rapida morte di Sheila (in una scena che probabilmente ridefinisce il concetto di splatter) a cambiare non è solo l’ovvio quotidiano (che pure regala scene e dialoghi esilaranti e memorabili) ma qualcosa di altro in Sheila che, di fatto, si sente finalmente viva.
Più vicina alle proprie pulsioni, agli istinti e ai suoi desideri, Sheila sembra essere entrata in contatto con il proprio es che la porta a fregarsene un po’ di più e a godersi la vita per quel che è.
Perché in fondo, a lei, l’appetizer fatto di dita piace.
Una comedy brillante come mancavano da tempo nella formula 25-29 minuti densa di humor nero, ironia e sfottò delle più classiche dinamiche di coppia tra vicini ficcanaso e misteriose maledizioni serbe.