Split: il solito felice matrimonio tra thriller e disturbi mentali

Vi è mai capitato, magari da preadolescenti, di mangiare una pizza con sopra di tutto? Sapeva di patatine, di würstel, salame, funghi e maionese? No, sapeva di tutte queste cose. O di nessuna.
Ma rimaneva comunque una pizza.
Ecco, Split è esattamente questo: non due, non tre, ma ventiquattro personalità in una sola persona.
Sarà più bambino? Più sadico? Magari più femminile? No, sarà tutte queste cose. O nessuna.
Ma rimarrà comunque una persona.
CHE COS’È SPLIT, IL NUOVO FILM DI M. NIGHT SHYAMALAN
Kevin (James McAvoy) è il povero manovale dello zoo e nasconde un segreto. O almeno ci prova, vivendo nei sotterranei come un topo in gabbia.
Si tiene lontano dal mondo perché è un tipo speciale.
Kevin non è solamente Kevin: è Patricia, Edwig, Barry e altre venti persone, ognuna con caratteristiche fisiche e mentali precise.
Sfortunatamente, una di queste è un maniaco del controllo pedofilo.
Ecco perché rapisce e tiene rinchiuse tre giovani fanciulle in quelle cantine con l’intento di sacrificarle alla ventiquattresima identità: La Bestia (uhhhhh!).
Un uomo affetto da disturbo dissociativo dell’identità può cambiare il proprio corpo adattandolo alla personalità che emerge.
La dottoressa Fletcher (Betty Buckley) cerca di aiutare Kevin a ritrovare la serenità, ma persino lei non sa di cosa sia capace.
Resta tutto nelle mani della piccola Casey (Anya Taylor-Joy),la più sveglia tra le prigioniere adolescenti.
Riuscirà la nostra Casey a…blablabla?
Tanto il resto lo conosciamo già.
SPLIT È IL RISCATTO DI SHYAMALAN?
La nuova opera di M. Night Shyamalan, regista de Il Sesto Senso, The Village e di una manciata di pellicole da Razzie Award, dovrebbe essere il suo riscatto.
E per la roba vista negli anni addietro lo è sicuramente, ma forse non basta.
Gli sia riconosciuto il merito di aver sia scritto, sia diretto un thriller senza farsi fermare da nessuno.
E pure una regia audace che ci mostra di lato, da sotto e di fianco, oltre alle più classiche inquadrature.
A volte azzeccata, a volte no: insomma, se la macchina riprende da uno spiraglio e si avvicina al soggetto, mi aspetto che sia un occhio umano a sbirciare per poi avvicinarsi, creando così della suspance. Ma se c’è solo la telecamera, capisco che si tratta di una telecamera, che tutto è finto e ciao ciao immedesimazione, ciao ciao suspance.
Questo era il gergo tecnico, quello più alla mano è: c’hai provato, hai fatto delle mezze cacate, e non ci sei riuscito.
La storia fila, il punto di vista tutto del personaggio principale (o quasi) aggiunge spruzzi di paura, il finale è un piccolo colpo di scena, ma tutto qui.
Da quando ti accomodi e per la restante ora abbondante sai già perfettamente cosa succederà.
La nota veramente positiva è tutta per James McAvoy, capace di giocare con molte personalità senza perdere di vista quella principale.
Che varia di momento in momento.
Esagerazioni richieste dal personaggio, minuzie e cambi repentini sono il cocktail che James offre allo spettatore, con la perfetta consapevolezza di avergliene offerto uno dei migliori.
Split è quel classico film perfetto per quando accompagnate i rispettivi partner al centro commerciale e volete defilarvi, evitando così l’ennesima attesa ai camerini.
Un semplice, sano, becero intrattenimento che vale per quello che è.
Una storia che gira su un hard disk e diventa luminosa.
Come ce ne sono tante.